quel numero zero in dodici copie

con Matteo B Bianchi

Matteo, la tua rivista, ‘tina, è considerata un cult, crocevia del meglio che abbiamo (autorialmente) in letteratura. Cosa rappresenta per te tina, quando e perché l’hai fondata?

Ho fondato ‘tina sedici anni fa in un pomeriggio, assemblando racconti di amici che, come me, all’epoca erano esordienti totali.  E’ stato un semplice lavoro di taglia e incolla: ho preso i loro dattiloscritti, ci ho aggiunto una mia introduzione e li ho impaginati in maniera molto artigianale. In un caso particolare si vede persino che il foglio è accartocciato, perché in effetti l’avevo buttato nel cestino per errore, poi sono andato a recuperarlo, cercando di appiattirlo il più possibile, ma è risultato tutto ondulato comunque. Questo per dirti quanto poco professionale fossi. Avevo una tale urgenza di realizzare quel progetto, che mi preoccupavo solo di metterlo in piedi.

Ho fotocopiato quel numero 0 in dodici copie e le ho spedite ai singoli autori e a qualche amico extra.

E’ cominciato tutto così.

Poi, non so come, ‘tina ha cominciato a girare: mi arrivavano a casa lettere di sconosciuti che mi mandavano i loro racconti in lettura, gli amici scrittori la passavano ad altri amici, insomma, in breve ho raccolto materiale sufficiente per realizzare nuovi numeri e da allora non ho mai smesso.

Le prime uscite sono state cartacee, poi ho trasferito tutto sulla rete, trasformando la rivista in una webzine.

Nel corso di questi anni hanno mosso i primi passi su ‘tina diversi autori diventati poi celebri.

Mi sono anche divertito a sperimentare soluzioni diverse: numeri a tema, dizionari, uscite monografiche dedicate a un solo testo o a un singolo autore… Una volta ho persino stampato un racconto su un cartoncino e l’ho spedito in giro. Si chiamava ovviamente “‘tina in cartolina”.

Ho sempre cercato di conservare un carattere ludico, di assoluta spontaneità, nella sua realizzazione.

‘tina rappresenta il mio modo, personalissimo, di mantenere un contatto sempre vivo con ciò che di nuovo sta succedendo nella scrittura. E anche la possibilità, seppur simbolica, di dare una mano a chi si sta addentrando nel mondo della letteratura. 

 Immagino che attraverso tina hai chiuso il cerchio, se si può dire, col tuo lavoro di scouting. Hai mai lanciato un autore attraverso questo canale, appunto attraverso ‘tina?

A dir la verità, quando ho cominciato a fare ‘tina io stesso ero un autore ancora inedito, quindi più che chiudere il cerchio direi che l’ha aperto. La rivista è nata per unire scrittori in erba che, come me, stavano cercando di esordire in qualche modo. I primi numeri della rivista contenevano racconti di Tiziano Scarpa, Paolo Nori, Marco Mancassola, Piersandro Pallavicini… gente che all’epoca non aveva ancora pubblicato nulla, o quasi, e che di lì a breve sarebbe arrivata presso le più grandi case editrici italiane. 

Come riconosci il talento? E dunque l’autore da pubblicare?

Se parliamo di scrittura valida, in genere bastano poche righe per capire se un autore ha un livello buono o se è un disastro. Il problema è un altro: ci sono molti aspiranti scrittori che sanno scrivere mediamente bene, ma non hanno niente da dire o nessuna personalità stilistica. E questa è la cosa più difficile da spiegare e motivare quando qualcuno ti chiede un’opinione sul proprio lavoro.

Per quel che concerne il materiale che pubblico su ‘tina ho una specie di mia formula in testa. In genere il racconto mi deve sorprendere, in qualche modo: per il tono, per il linguaggio, per la trama inaspettata, per la struttura originale. A volte può essere un solo particolare, magari un finale imprevisto oppure la capacità dell’autore di rendere in maniera efficace una certa angoscia adolescenziale o di riprodurre la lingua parlata in un determinato ambiente di lavoro… Diciamo che il racconto deve distinguersi rispetto alle decine di altri che mi vengono sottoposti e in genere questa sua differenza salta all’occhio, almeno per me.

Se devo racchiudere ciò che pubblico in una definizione, in genere utilizzo quella di letteratura “pop”, ma mi rendo conto che è molto vago…

Quando ho curato delle antologie letterarie mi è capitato di selezionare autori che non corrispondessero ai miei gusti personali, ma il cui talento mi sembrava innegabile. Se mi chiedono di assemblare una raccolta di buon livello letterario non devo assecondare miei gusti o capricci. Quello lo faccio liberamente solo con ‘tina.

Chi ti sei perso, tra questi? Chi avresti voluto pubblicare e non hai potuto per qualche ragione? 

Su ’tina ho pubblicato sempre tutto ciò che ho voluto. Il bello di essere direttore e unico redattore di una rivista è che devi rispondere solo a te stesso e seguire i tuoi gusti (il che, come dicevo prima, è ben diverso dall’essere curatore di un’antologia).

Mi è capitato invece di perdere degli autori lavorando con le case editrici.

Ricordo, per esempio, che quando collaboravo con Baldini & Castoldi (oggi Dalai editore) avevo proposto il primo romanzo di Marco Mancassola, che era stato rifiutato (in seguito lo pubblicò Mondadori). L’estate scorsa mi ero innamorato del romanzo di un autore, Sandro Campani, che aveva già pubblicato per due piccoli editori. Volevo assolutamente inserirlo nel catalogo Indiana, ma ce l’ha soffiato Rizzoli.

Ogni tanto in questo lavoro devi imparare a rinunciare, a capire che il tuo buon fiuto non basta. Però mi consola vedere che autori sui quali avrei puntato poi fanno carriera altrove. Significa che comunque ci avevo visto giusto. (Ovviamente succede anche il contrario: autori che segnalo, vengono pubblicati e poi non hanno il riscontro che mi auguravo. Sono i rischi del mestiere).

E poi c’è “Il dizionario affettivo della lingua italiana”.

E’ un libro nato da un numero speciale di ‘tina. Avevo avuto questa idea di chiedere ad alcuni amici scrittori quale fosse la loro parola preferita e perché. Avevo raccolto le loro risposte in forma di dizionario e le avevo pubblicate. Erano circa una trentina.

Il numero aveva avuto da subito molta fortuna, era stato segnalato da qualche quotidiano, gli autori presenti se ne erano entusiasmati e avevano cominciato a diffonderlo in rete. La cosa ha destato l’interesse di Giorgio Vasta, che all’epoca curava una collana per la scuola Holden pubblicata da Fandango, e mi aveva proposto di trasformarlo in un dizionario vero e proprio.  Io ho accettato a patto che lui stesso mi aiutasse nell’impresa. Mettendo insieme le nostre comuni conoscenze siamo riusciti a realizzarlo nel tempo record di soli sei mesi.

Purtroppo il testo è capitato in un periodo particolare per Fandango: stavano cambiando direttore editoriale, la collana curata da Vasta è stata chiusa e la gestazione del volume è stata un po’ travagliata. Per dire, non abbiamo potuto scegliere una copertina o un’edizione adatta (nei nostri progetti avrebbe dovuto avere anche l’aspetto del classico dizionario rilegato, invece è stato pubblicato in formato paperback con un incongruo cuore in copertina). Malgrado questi intoppi, alla sua pubblicazione (nel 2008) il libro ha avuto un ottimo riscontro: ne hanno parlato con risalto tutti i quotidiani, ha avuto due ristampe e ha dato via (direttamente o indirettamente) a una serie di eventi paralleli. Ricordo che quell’anno il festival di Pordenone  chiedeva a tutti gli scrittori partecipanti di selezionare la propria parola preferita da mettere sul sito del festival, la trasmissione letteraria di Radio Rai Tre Farenheit ha posto la la stessa richiesta agli ascoltatori…

L’anno scorso ho realizzato un nuovo numero di ’tina dove ho esteso la partecipazione ad autori che avevano esordito dopo il 2008 o che erano sfuggiti alla prima edizione. Si trova on line qui (www.matteobb.com/tina/issueSP2index.html).

A tuo avviso, dove sta andando la letteratura? 

Dove le pare.

matteo b bianchi

Matteo B. Bianchi ha pubblicato quattro romanzi (l’ultimo è “Apocalisse a domicilio”, Marsilio), è editor presso la casa editrice Indiana ed è uno degli autori della trasmissione tv “Quelli che il calcio” (Rai Due). Il suo blog è: matteobblog.blogspot.com