Ti racconto ancora qualcosa, Laura. Adesso tu puoi capirmi, ma poi dimenticheremo, entrambe, esattamente la ragione per cui l’abisso in certi giorni ci sia parso così profondo. Dimenticheremo. Io l’ho quasi fatto. Ho già dimenticato, di quel dolore non è rimasto nulla, solo un vago disagio prossimo al sentimento della vergogna.
Quante volte la tua voce ora delicata ora appassionata e il tuo stesso corpo in scena ha tradotto il dolore degli altri? La vita degli altri? Quanta sensibilità ti occorre tutte le volte azzardare, spendere perché le parole dei grandi tuonassero con la stessa potenza, ogni dì, ogni replica? Adesso la tua ora buia è soltanto un anticipo del giorno maestoso che arriverà: una mattina ti sveglierai e i tuoi occhi saranno asciutti, nessuna lacrima, nascosta nel sonno. I tuoi occhi splendidi sono grandissimi, raccontano la bellezza del mondo, la replicano. La suggerisce ogni momento la tua fragilità. Tu sai che la fragilità è invece il vigore dello spirito? Nella nostra fragilità dimora l’Eterno. E a Lui tutto puoi chiedere, tutto tu avrai. Lui soltanto Lui. Guarisce quel che ha permesso fosse afflitto o percosso. Sei una creatura prescelta, hai il dono della bellezza, della delicatezza, in scena la tua voce ha un suono che nessuno nessuno potrà mai riprodurre (la mia è molto più simile a quella dell’ape Maia prima versione). Vorrei che non dimenticassi che: passerà.
Dice Isaia: Anche se il Signore ti darà il pane dell’afflizione e l’acqua della tribolazione, non si terrà più nascosto il tuo Maestro; i tuoi occhi vedranno il tuo Maestro.
E passerà.
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