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Io, la fannullona. (Il fatto Quotidiano)

Per lei, signor Presidente Meloni, il povero è un fatto di correità, sfiga e indolenza insieme. Ancor peggio se siciliano. Quando Conte prometteva la speranza, sul palco di un comizio, in questa isola infame, in un quartiere che avrebbe preferito celebrare gli “eroi” al timer di un detonatore, piuttosto che le vittime di una lupara bianca o le esequie del prete militante a cui hanno fatto esplodere le cervella, voi urlavate come dannati: è un vituperio. La speranza che al sud con i poveri diventa scambio di voti. Di cosa dobbiamo morire? Tra la carità e la disperazione, signor presidente, preferisco la carità. Io appartengo alla categoria dei colori smorti, il miserabile pitocco, archetipo delle vostre idiosincrasie. Sono povera, sissignore. Non ho mai macchiato la mia divisa della mostrina del fannullone, sorry. Vi piace immaginarci così, generazioni di parassiti, in panciolle. Non conosco privilegi, il destino mi ha inchiodato al sud, non sono siciliana, ma ne vivo il peso, una certa iattura. Non conosco privilegi.

Una ragazzina intelligente. Diplomata liceale, non frequento l’università. Mio padre, uomo colto e curioso, si è spezzato la schiena in fabbrica, per una vita. Nessun privilegio. Mai. Comincio a lavorare subito. L’università è per i ricchi, famiglie borghesi con un bilancio abbordabile. Non è il mio caso. Una città cimitero, allora, con luci fasulle di brillii illegittimi, economie poggiate su disarmonie, illegalità. Solite cose, al sud. Una impossibilità latente si impossessa di chi ci vive, un orizzonte sterminato di privazione. Sterminato come il blu dei mari che si incontrano sullo stretto di Messina. Molto suggestivo. Disperante e suggestivo. Venditrice di libri. Vendevo, ero brava, mai visto un soldo, impreparata, era facile finire in mano a cialtroni di vario genere. Vendevo contratti per tomi enciclopedici. Ero gentile, educata, le persone si fidavano di me. Mai visto un soldo. I cialtroni, ricordo un paio di nomi, fecero il sacco e sparirono dalla circolazione, fantomatiche agenzie di lavoro. Lavapiatti, centinaia di bicchieri, posate, pentole, acqua fredda, gelata, piegata sul lavabo fino alle due del mattino, con il fiato sul collo del capo-camiere sessista che si eccitava insultando le ragazzine come me. La prima sera di prova includeva l’opzione: non pagata. Le altre trenta euro (c’erano ancora le lire, tuttavia) il sabato e la domenica. Banconista in un pub di marrani, uomini perlopiù, avventori di spettacolini sui generis, tipo giovinette mezze nude imbrattate di panna. Serate ben pagate. Cinquanta euro, il sabato e la domenica. Cameriera, durante i ricevimenti, i matrimoni, bisognava avere gambe solide e una buona schiena. Venditrice di tappeti. Drappi pesanti, manti di lana cachemire, da srotolare e ripiegare, una specie di yak nella sostanza, sa quei bovini tibetani da soma. A fine giornata ti sembrava di avere un gomitolo in gola. Bastava abituarsi, al gomitolo in gola. Ero bravina. Soprattutto nelle fiere campionarie, c’era una sola breve pausa, o il pranzo, al volo, o la sigaretta. Un’estate provai l’ebbrezza di condividere l’abusività, in un parcheggio, con altri poveri, poveri più che mai, posteggiatori non regolari insomma. Cercavano di fregare la vita, come si dice. Abbiamo imparato a farlo, quiggiù, o muori. Devi scegliere di cosa: pregiudizio altrui, ignoranza, albagia nordista. Disperazione. Ho sempre lavorato. Lo chiama lavoro lei, signor presidente? Fino a qualche anno fa, mi deve credere, non ho mai visto mille euro tutte insieme. Non si commuove? O è il solito schifo che sale piuttosto, non è così? Una specie di mal di povero, la nausea che guida ogni disequazione e che riguarda noi, i colori smorti, i parassiti, i pitocchi. Però scrivo. Ed è una gran fregatura. Vorrei firmarmi: la fannullona. Preferisco il mio nome, però.

La versione originale è uscita sulle pagine de Il fatto Quotidiano, edizione di sabato 26 novembre 2022