Spiavamo gli uccelli immobili sull’acquitrino. Dietro le baracche una morta palustre era il ricovero di creature placide, dalle lunghe ali umide. La natura ci perdonava. Romina sapeva modulare un fischio molto efficace, così che radunava i volatili delle cinque della sera. Formavano nubi affascinanti, si comportavano come un branco mansueto. Migliaia di volatili. Qualcuno di questi ascoltava il fischio di Romina. Uno storno venne a riparare nel mio palmo, lo aspettavo. Romina mi disse: stendi la mano. E lo storno seguì il suono, e poi si fidò del mio palmo. D’improvviso il cielo si fece buio. Sembrava dovesse piovere, alle baracche il buio faceva molta paura. Non temevamo gli uomini, ma le ombre degli assenti. Quelli ci facevano paura. Gli assenti. I morti. Anche Massimo poteva esserlo. Non era morto, perché nessuno era venuto a dircelo. Alle case si sapeva sempre tutto. Sai le cose come funzionano, dissi a Romina. Un giorno il tipo sparisce e addio. Cioè non ti saluta nemmeno, funziona così. Romina sorrideva amara come sempre. Lei conosceva la vita, i dettagli laidi li aveva davanti agli occhi. Io parlavo come una sciocca, imitavo i dialoghi di un film. Cosa funziona, ripeté Romina, con la sua bella voce rauca, consapevole ma priva di tristezza. Consapevole e capace di riderci sopra, le cose che diventano arcigne simili a una mutria. Riderci.
Massimo sarebbe tornato. E’ un tuo problema, mormorò Romina. Se Massimo torna continuerà a farsi, promise. Non devi promettere, le urlai. Lei era già di spalle, aveva lasciato le creature sul filo dell’acquitrino. Le ombre scendevano sul resto. Odiavo la sera a Mazzarrona. Dalle baracche non provenivano rumori. Mi assediava la paura o era la nostalgia. La nostalgia non era solo la scusa di un tossico, era la sostanza del nostro vivere, molto vigliacco. Sedetti sulla riva, ai bordi dell’acquitrino. Era umido. Tremavo, mentre tutto intorno era una cupio dissolvi. Massimo sarebbe tornato, perché io l’amavo. Cos’era l’amore? La necessità di tornare a casa, sparire, dentro qualcosa, qualcuno, era la paura che mi induceva al bisogno. Era un bisogno, non un’azione. Amare era una necessità. E invece doveva essere un’azione, un modo di stare nelle cose. Verso l’ombra Romina spariva, senza cercare altro che la vita da attraversare ogni giorno, con passi pesanti. Noiosamente, buca dopo buca, affondarvi i piedi. Torneremo tutti insieme, immaginavo, un ritorno glorioso. Fuori da lì. Ero andata a prenderli, per portarli via. Così farneticavo. E dicevano che ero matta e usavo parole troppe lunghe. Forse avevano ragione?
(continua)
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