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In ascolto: Valeria Cartolaro

di Andrea Ponso

La forza di questi testi sembra essere quella di mantenere una continuità prosodica e musicale anche negli sbalzi e nelle interruzioni esistenziali e sintattiche: è come posare l’orecchio della mano su di una materia piena di crepe e discontinuità grumose che, tuttavia, ad una mano attenta, indicano un percorso insieme concreto e prossimo alla sparizione. In altri termini, tutto ciò che è accaduto continua in qualche modo a vibrare, ad accadere: a cadere.

Lo stile è sicuro, proprio nel suo paradossale controllato abbandono: che non significa trasandatezza ma, al contrario, estrema cura nel trovare l’incastro dei ritmi e delle parole che si devono abbandonare. Le più povere e insieme preziose. Talvolta affiora, è inevitabile, qualche impuntatura che più delle altre può risultare “letteraria” (vedi, ad esempio, il termine “allippata” del primo frammento): ma sembrano errori che la pialla della scrittura e dell’ascolto potranno migliorare.

Quando il testo è veramente se stesso, la volontà dello scrivente diventa vena sottopelle, che scorre umilmente nel tessuto del testo, fino a scoprirsi creata dal testo stesso: guardarsi la mano e trovare un piccolo nuovo capillare è, in fondo, il dono della disciplina dell’ascolto e della poesia. E in questi testi accade, mi pare, molto spesso. Quando invece la volontà è ancora troppo “voluta”, si sente uno scalino che poteva non esserci.

Difficile trovare nella produzione italiana dei “poeti laureati” una tale attenzione alla parola e al ritmo: la sciatteria è ormai la regola, che sia voluta o meno poco importa, dato che, anche se voluta, implica una disciplina della povertà che non vedo. E altrettanto difficile è trovare una parola che sappia dire il silenzio e la povertà materica senza cadere nella mascherata del sentimentalismo, dell’asettico costruito a tavolino o dell’impegno a buon mercato.

TESTI

Ramo di innesto

sarà poi frasca

salta la primavera e prosegue a potare.

L’annata allippata

con la cicoria che spica

scenderà, lui, la scala

il braccio in raccolta della natura.

si incaglia il gelo da piana

e dilata e contrae l’assito

la sua fibra tosta s’accorcia

slitta su sorella sua – fanno fessure

Emilia – rudere attrezzo agricolo

piana di mezzo e passaggio

del meridione scirocco uscito pazzo

piove dal tetto acquaragia

su un destino fatale in bacinella

le mie urgenze trasmigrano pari

al sole che non sorge in giornata

il tamburo nella notte

è il mio petto di domani

colpo al corpo teso in avvenire

L’autrice:

Valeria Cartolaro, Modena, classe 1993, studi in germanistica.

Il testo analizzato è tratto da “Retabloid” di Oblique Studio, curata da Leonardo Luccone

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Andrea Ponso:

È nato a Noventa Vicentina nel 1975. Dopo studi letterari  e teologico-liturgici, si occupa di letteratura, critica, teologia e traduzione dall’ebraico biblico. Ha pubblicato testi di critica, teologia e poesia in varie riviste, il suo ultimo libro in versi, I ferri del mestiere, è uscito per Lo Specchio Mondadori nel 2011. Una sua nuova versione dall’ebraico del Cantico dei cantici è uscita per Il Saggiatore nel 2018, mentre Qohelet o del significante è uscito per le Edizioni San Paolo nel 2019.

ALL’ASCOLTO DELLA PAROLA

In ascolto

la rubrica di Andrea Ponso

Cosa significa ascoltare? L’ascolto è una obbedienza, un ob-audire. Ma a cosa si obbedisce? Principalmente alla relazione che nell’ascolto si crea tramite il suono, cioè il significante e il ritmo: una relazione che si vorrebbe sempre singolare e unica, irripetibile  –  di contro alla massificazione di tante soggettività egoistiche riempite fino all’orlo di significati e di news, di protocolli pre-confezionali utili ad ogni evenienza. Ascoltare è quindi, prima di tutto, liberarsi da tutto questo, letteralmente uscire dai nostri tanti, troppi Egitti idolatrici. In ebraico ascolto è shemà che, non a caso, risuona in shem, il nome singolare, così come in Moshè liberatore/mediatore dalla cattività egiziana attraverso il deserto (midbar) che è anche l’attraversamento de deserto della parola (dabar).

I padri della chiesa proibivano l’esecuzione e l’ascolto del triton diabolicum (do – sol bemolle) poiché generava, dal punto di vista tonale, una catastrofe dissonante proprio per la loro non-relazione, contraddicendo l’armonia trinitaria dell’accordo do-mi-sol: l’interdetto, in qualche modo, preserva tale dissonanza del non rapporto, così come dovrebbe fare anche il testo poetico, proprio per non ricadere nelle scale delle finte armonie prestabilite dai protocolli che ci soffocano e ci rendono schiavi dell’orecchio e degli occhi.

Il triton diabolicum è l’impossibile che la scrittura preserva ma non può mai ridurre a se stessa: invita per questo ad uscire dal verso e delle sue barricate difensive, perché ciò che non si può dire né musicare si può comunque danzare, cioè trasformare in corpo e vita.

Ascoltare il canto, è quindi opera di discernimento e di taglio, anche rabbioso, critico e chirurgico insieme: il canto è zamar, che significa anche potatura, come tentativo di trovare nell’ascolto un ritmo, una relazione e un ordine  – così come la loro contraddizione –  sempre nuovi e singolari. Potare, dunque, per potere, in futuro, vedere forse qualcosa di nuovo germogliare. Questa potatura che è il canto e anche l’ascolto, indica la protezione dinamica delle primizie da donare al tempio: il taglio rischia e protegge la bellezza  – una bellezza mai del tutto codificata e armonica –  di contro all’uniformità senza tagli, chiusa e monotona, del proprio Egitto già scritto, senza deserto e senza esodo.

Andrea Ponso. È nato a Noventa Vicentina nel 1975. Dopo studi letterari  e teologico-liturgici, si occupa di letteratura, critica, teologia e traduzione dall’ebraico biblico. Ha pubblicato testi di critica, teologia e poesia in varie riviste, il suo ultimo libro in versi, I ferri del mestiere, è uscito per Lo Specchio Mondadori nel 2011. Una sua nuova versione dall’ebraico del Cantico dei cantici è uscita per Il Saggiatore nel 2018, mentre Qohelet o del significante è uscito per le Edizioni San Paolo nel 2019.