Mi sembra che Trieste sia davvero una piccola Vienna. In aeroporto ci raggiunge un uomo, ci accompagnerà in albergo. E’ un gigante, ma è persona affabile, è la prima volta che entro in una città di confine. La Slovenia svetta sopra le terre e oltre i boschi che finiscono a mare; il verde deborda sulle strade, il driver ci parla del ponte di Mostar, rifatto e lucido, dei giovani che si lanciano da lì per una manciata di euro. Dalla finestra del mio albergo, in piazza Barbacan, fotografo quel che vedo e l’arco di Riccardo, Riccardo non è un nome latino. L’Arco di Riccardo, forse in onore di quel Riccardo Cuor di Leone di ritorno dalla Terra Santa.
Le pinete che finiscono in mare introducono a antiche residenze nobiliari austriache. A Trieste piove sempre, le chiamano bombe di acqua, ma sono preludi, spesso molto brevi. Realizzo che in quella gente, persino in quell’omone al volante, che con gentilezza mi terrà compagnia durante il viaggio in auto, sopravvive ostinato il sentimento complesso di una storia identitaria di cui non sono a parte e che scoprirò appena. E’ tutto molto rapido. Il pomeriggio al parco, con l’editore Gaffi e i giovani editor della casa editrice, incontro Ugo Pierri, i suoi disegni terrificanti, pacifisti, ma spaventosi, grotteschi, inducono alla pietà. Mai visto niente del genere. Ecco cos’è un libro, comunque vada, è l’inizio di un viaggio, sono uomini nuovi che si avvicinano al mio piccolo mondo introverso, sono costretta a guardarvi dentro oppure oltre. Questo è un libro. Non importa quanti fossero in quel parco dedicato a Italo Svevo in quella città di confine, quante copie abbia firmato, cosa abbia detto. Era un nuovo viaggio, in una piccola Vienna.
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