Osservare lo scrittore che scrive

                                                      di Andrea Pomella

In vita mia ho conosciuto molti scrittori. Con loro mi sono seduto a prendere un caffè, li ho intervistati, li ho ascoltati durante le conferenze e le presentazioni dei loro libri, con loro ho visitato nuove città, ho parlato al telefono e ho scambiato giudizi sulle cose del mondo. Li ho visti fare mille cose. Mille, tranne una: non ho mai visto uno scrittore scrivere.

Intendo dire che non ne ho mai sorpreso uno nell’atto esemplare della sua arte, ossia nel momento di massima concentrazione in cui si compie il suo mandato nel mondo. Se penso agli scrittori che conosco riesco a immaginarli in situazioni di vita normale – mentre scendono dalla macchina, mentre fanno la fila alla posta, mentre fumano una sigaretta in balcone – ma non riesco a immaginarli mentre lavorano alle loro scritture. Questo atto dev’essere una cosa tanto intima e banale da farlo assomigliare allo stare chiusi in bagno a sbrigare le proprie faccende fisiologiche.

Un’omissione di questo genere è un fatto comune, diciamo pure un tratto distintivo dell’arte della scrittura. È vero infatti che le cineteche sono piene di musicisti ripresi mentre suonano, di pittori filmati mentre dipingono, ma non c’è neppure l’ombra di scrittori ritratti mentre scrivono. E questo ha una sua logica. Perché il processo creativo di uno scrittore è tutto interiore, e la sua messa in pratica non ha niente di fantasmagorico come invece potrebbe avere lo spettacolo di un Jackson Pollock all’opera con uno dei suoi dripping. L’atto della scrittura, tanto più oggi, coincide con uno dei gesti più ordinari della contemporaneità: lo stare davanti a un computer (ma era altrettanto ordinario, nei tempi andati, battere i polpastrelli sui tasti di una macchina da scrivere o, prima ancora, impugnare una penna d’oca). Osservare uno scrittore che scrive quindi non ha nulla di diverso dal fissare un impiegato all’opera durante il suo turno di lavoro.

Per molto tempo ho conservato nel mio computer una foto famosa che mostra Hemingway seduto alla scrivania, in camicia e bermuda, mentre impugna una penna e scrive su un notes. Delle migliaia di foto che ritraggono Hemingway questa è una delle meno rappresentative, e il fatto è abbastanza singolare se si pensa che stiamo parlando di uno dei massimi romanzieri del Novecento. Voglio dire, hanno molto più valore testimoniale gli scatti che ritraggono “Papa Hemingway” mentre parla con un torero nell’arena, o mentre imbraccia un fucile a doppia canna, o mentre si atteggia davanti allo specchio in posa da pugile con tanto di guantoni, che un’immagine in cui lo scrittore viene sorpreso curvo sulle proprie carte, con la fronte increspata e il cipiglio assorto.

La verità è che le fotografie del genere “scrittore al tavolo da lavoro” non ci dicono pressoché nulla. In un certo senso l’arte della scrittura è smaccatamente anacronistica, antimoderna: non consente lo spettacolo del work in progress, prende forma sul piano dell’ineffabile, è semplice, puro, spettacolo del pensiero.

Andrea Pomella, scrittore, giornalista, pubblica con Laurana Editore il saggio “10 modi per  imparare a esseri poveri ma felici” (2012). A gennaio uscirà il suo romanzo “La misura del danno” per Fernandel. I suoi blog http://andreapomella.wordpress.com/ ; http://www.ilfattoquotidiano.it/blog/apomella/;

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