Dario Voltolini sulla vicenda Brullo-Linkiesta: “è capitato anche a me”.

Dario Voltolini è uno di quei bei nomi della letteratura italiana che ha persino segnato alcuni anni. Fine anni ’90 inizio anni 2000, il suo nome circolava spesso insieme con Alessandro Baricco, Giulio Mozzi, e pochi altri, considerati una specie di ante litteram di un linguaggio, un immaginario. Ne sentivo parlare spesso e con ammirazione dall’allora capo servizio di una redazione siciliana in cui lavoravo, lui era Gianni Bonina, fondatore del foglio culturale Stilos. Voltolini era la somma dell’aristocrazia letteraria, per molti di noi. Non sto esagerando.

L’ho intervistato in merito alla polemica nata sulla vicenda Brullo-Linkiesta, e sull’onda del caos di cospiratori, movimentisti Imperdonabili. Ecco cosa ne è venuto fuori.

Dobbiamo abituarci all’idea che un critico (vedi vicenda Davide Brullo-Linkiesta) debba rinunciare a una rubrica di stroncature, perché così decide un nuovo direttore?

La mia risposta è sì. Mi spiego meglio. La vicenda in sé è brutta e spiacevole, così come sono brutte e spiacevoli innumerevoli vicende analoghe, solo poche delle quali sono riuscite a emergere dal limbo quel tanto che basta per essere intercettate, viste, persino segnalate. Cerco di ragionare a prescindere dalla persona di Davide, scrittore che ammiro e critico, che stimo aderendo e dissentendo a seconda, ma soprattutto aderendo alle sue posizioni e trovando preziosissime le sue indicazioni di lettura – scrittori e scrittrici a cui non sarei mai arrivato da solo, sempre di altissima qualità.

È capitato anche a me di entrare in rotta di collisione con la Direzione di una testata con cui collaboravo. La libertà che mi era stata data, a un certo punto, in un certo snodo, si rivelò “sotto condizione”: avevo superato un confine, non andava bene. Me ne andai, moltissimo a malincuore.

Ci tengo a precisare che la mia collaborazione era del tutto gratuita, mentre nella vicenda di Davide c’è l’elemento della sua retribuzione, che rende la vicenda ancora più sgradevole in sé e per sé, oltre alle reali motivazioni della Direzione, che non conosco veramente. Qui si è entrati nella vita economica di una persona – gravissima cosa. Una persona non garantita, lavorativamente, da nulla.

Tuttavia purtroppo il gioco è questo: la Direzione ha la facoltà di fare queste scelte. È un suo diritto, anche se spessissimo si manifesta in maniera abominevole.

Non è ancora pronto un mondo senza Direttori, per cui non si può demolire questo diritto in astratto. Ci sono Direzioni di un tipo e altre di un altro – Veronica, lo sai bene a chi mi riferisco. Si demolirebbe anche la figura del Direttore valido.

C’è un conflitto e quindi si combatte. Non paiono esserci diritti acquisiti.

A Davide posso solo e molto sinceramente augurare di trovare un pulpito meno debole da cui, con più incidenza ancora, potrà guidarci dentro la qualità letteraria vera. Cosa di fondamentale importanza.

Esiste una libertà di critica? 

Certo che esiste, chiunque può dire la sua ormai. Critici intelligenti e dementi generici. Qui il problema secondo me non è tanto la libertà quanto la visibilità. Il percorso di ciascuno – critici, scrittori, ma anche artisti in generale – è facilmente deviabile su binari morti, per cui un sacco di panzane può essere assolutamente visibile e un marea di raffinatezze assolutamente no.

Sono domande antiche, superate, questioni che fanno parte di un understatement a cui abituarsi?

, sono domande antiche, non sono domande superate. L’understatement non c’entra nulla, non si tratta di atteggiamenti snobistici o salottieri o chissà cosa: si tratta di un mondo culturale così malato che possiamo solo sperare che non sia già definitivamente morto. Dico “mondo culturale” perché gli Imperdonabili, che nascono sul terreno letterario, hanno parenti dappertutto: chiediamoci cosa capita nella musica, nell’arte, dappertutto.

Allora: io ho una mia fissazione, che naturalmente lascia il tempo che trova, non essendo nemmeno per un briciolo propositiva. Ma insomma è questa: io credo nella biodiversità. Delle specie. Credo che la biodiversità sia in se stessa un valore. E così, come credo che sia assolutamente da salvaguardare fino al termine finale del bancone delle verdure al mercato (dove secondo me è necessario per la nostra vita e per la sua qualità che il maggior numero di specie vegetali si acquistabile e fruibile), altrettanto credo che un’analoga biodiversità vada salvaguardata fino al bancone della libreria (reale o virtuale che sia). In altre parole, le battaglie a favore di Clarice Lispector contro Fabio Volo mi lasciano tiepidamente indifferente. Perché io credo sinceramente che sul bancone della verdura/letteratura debbano esserci entrambi, con tutti gli altri. Ma, ecco dove la questione si fa orrendamente drammatica, il pubblico che va al mercato e sceglie le verdure è infinitamente più consapevole, edotto e preparato di quello che va in libreria. Nessuno si prende l’onere di istruire il pubblico su cosa può trovare in libreria, su come possa scegliere a seconda del proprio gusto. Nessuno nel mondo delle verdure dirà mai che la rapa è meglio dell’asparago, nessuno darà mai del cretino a chi sceglie di acquistare un carciofo invece che un cardo gobbo (riservato a una cerchia elitaria, sebbene diversa e non del tutto convergente da quella che ama il lambascione). Nessuno.

Invece in campo letterario e, direi, artistico in generale, funziona così tutti i giorni, tutte le ore.Il lavoro da fare è enorme e io non so nemmeno da dove si possa cominciare.

Per cui sintetizzerei: mai abituarsi, ma non è certo una questione di understatement.

Secondo te esiste un reale spazio critico, oggi?

Non so davvero cosa rispondere a questa domanda. Se invece di “reale” mi avessi posto la domanda con la parola “virtuale” la risposta sarebbe stata ovvia (sì).

Però vorrei essere sincero e dirti che non capisco bene la domanda. Cosa intendi per “spazio critico”? Un luogo riconosciuto e accreditato in cui il discorso fluisce libero e salvo, purificato dalle distorsioni del mercato, dalle conventicole, dalle linee di tendenza, dalle forme-pensiero, dai pregiudizi e così via? Uno spazio in cui finalmente si possono trovare graduatorie oggettive di qualità? La risposta è no: non esiste una posizione critica che, per quanto raffinata e fondata sia, non possa avere una risposta negativa altrettanto fondata e raffinata. Per cui la critica, in se stessa, non può farsi spazio di nulla, tantomeno un reale spazio. La critica ha un’enorme difficoltà a misurarsi con altro da se stessa. Con il pubblico della letteratura, per esempio. Con le dinamiche editoriali, per fare un altro esempio. Naturalmente, lo spazio della rete è lì, aperto a tutti, almeno in apparenza. Lo spazio della rete è talmente “lo spazio” oggi, che sembra impossibile rispondere “no” alla tua domanda. Eppure io rispondo “no”.

Vuoi aderire al nostro movimento (fondato con il precursore Giulio Milani), Gli imperdonabili? (quest’ultima domanda considerala la scemata dell’intervistatrice, che mentre la formula, sorride)

Cara Veronica, farei parte di qualunque cosa tu mi proponessi, per l’affetto e la stima che nutro per te. Tuttavia, pur augurando agli Imperdonabili tutto il bene del mondo e una caterva di merda – come si augura ai teatranti – e ringraziando il dio della Creatività Italiana per aver fatto sorgere questo movimento, prima ancora che importante assai simpatico, io voglio continuare nella mia scelta di essere un “cane sciolto”. Fiancheggiatore, simpatizzante, compagno di percorso – vanno bene tutti gli eufemismi. Ma la mia realtà attuale è proprio quella del “cane sciolto”.

Ho fatto varie cose non da “cane sciolto” e le ricordo tutte con grande affetto e con orgoglio. Ma oggi è così, rispondo, seppur scodinzolando: bau!

 

 

 

Dario Voltolini (Torino. 1959). Scrittore. Già direttore della scuola Holden. Ha lavorato presso l’Olivetti, tecnologie vocali. Autore di numerose raccolte di racconti, romanzi, volumi illustrati, radiogrammi, testi di canzoni e libretti per il teatro.
Fra i suoi libri ricordiamo: Una intuizione metropolitana (Bollati Boringhieri, 1990), Rincorse (Einaudi, 1994), Forme d’onda (Feltrinelli, 1996), 10 (Feltrinelli, 2000), Primaverile (Feltrinelli, 2001). Nel 2003 ha pubblicato, da Quiritta, I confini di Torino, un ritratto inedito e affascinante della città in cui vive, cui sono seguiti Sotto i cieli d’Italia, (Sironi, 2004), – firmato insieme a Giulio Mozzi, un lavoro collettivo per un inusuale viaggio lungo la penisola -, Le scimmie sono inavvertitamente uscite dalla gabbia (Fandango, 2006), Foravía (Feltrinelli, 2010), Da costa a costa (con Lorenzo Bracco, BookSprintEdizioni, 2012), Oltre le Colonne d’Ercole (con Lorenzo Bracco, BookSprintEdizioni, 2015), Autunnale (BookSprintEdizioni, 2015), e Pacific Palisades, (Einaudi, 2017). Nell’ambito musicale ricordiamo i libretti Mosorrofa o dell’ottimismo (1993), Capelas Imperfeitas (1998)  e Tempi burrascosi (2008, interpretato da Elio), tutti musicati da Nicola Campogrande, e la canzone del gruppo “L’Orage”, Queste ferite sono verdi (2013, vincitrice della XXIII edizione di Musicultura).

Ha lavorato presso l’Olivetti nel Laboratorio “Speech and Language” occupandosi di sintesi e riconoscimento del parlato.

Ha collaborato con la rivista “L’Indice” e con il supplemento “Tuttolibri” della Stampa.

Collabora con OGGI7, supplemento di AmericaOggi.

È stato docente e direttore didattico della Scuola Holden.