di Vanni Santoni
Quando Veronica Tomassini, autrice che conoscevo per il bel Sangue di cane, mi ha chiesto un contributo per il suo blog, esso era ancora poco più che un nudo scheletro wordpress (in realtà non è passato molto tempo da quel giorno, ma la notazione mi viene inevitabile, vedendo quanto già ricco di contenuti e interventi esso sia oggi): quando lo aprii per vedere in che spazio mi si volesse convocare, c’era in bella vista, oltre che alla foto dell’autrice nell’header, un pezzo di Matteo B. Bianchi intitolato “cinque cose che direi a un esordiente”. Un tema per me di grande interesse, e dal quale, dunque, ripartirò: sarà perché ho cominciato tardi a scrivere, e non avendo coltivato il sogno in giovane età non gli avevo preso le misure; sarà perché questo mio cominciare avveniva in una città, ai tempi, pressoché sprovvista di scena letteraria, al di fuori di qualche scrittore isolato, che non conoscevo, e della rivista autoprodotta alla quale mi unii; sarà perché non avendo santi in paradiso (anzi, non conoscendo proprio una segaccia nessuno) mi sono fatto tutto l’“iter”: autore di racconti in una rivista ciclostilata dagli autori medesimi e distribuita in centri sociali e facoltà, blogger su Splinder, persona che spera di essere selezionata nel “laboratorio esordienti” curato ai tempi da Matteo B. Bianchi su Linus, vincitore di un concorso-truffa che non mi diede la pubblicazione promessa in premio, vincitore di un concorso onesto che mi permise il debutto con un editore minuscolo, agonia e morte dell’editore minuscolo, debutto su un blog letterario “importante”, rifiuti da parte di svariati editori grandi, medi e piccoli, partecipazione al Premio Calvino, blogger su wordpress, esordio con un grande editore, primi soldi guadagnati con i libri (ecco un landmark vero, direbbe King), partecipazione a tornei letterari, rifiuto di altri libri, sviluppo di progetti paralleli, consolidamento, pubblicazione di altri libri, collaborazioni a quotidiani, traduzioni, letture, curatele, editing informali, editing formali, fino al fantomatico contratto per più libri, fattispecie che avevo ritenuto certamente mitologica durante l’intero percorso; e tuttavia sempre, su tutto, un’angoscia profonda, una sensazione di inadeguatezza nei confronti dei giganti della letteratura che – per quanto ovvia e inevitabile – ti flagella ogni mattino, e ogni notte, trasfigurata in spettri in redingote, ti sussurra all’orecchio: niente, non sei niente.
Dunque sì. Negli ultimi otto anni ho cercato di diventare uno scrittore. Ma sono così vicini i giorni dei miei primi, scombinati testi, e così lontani da me gli autori che prendo a modello, da sentirmi ancora, per quasi ogni verso, un esordiente. Ecco perché la questione mi interessa. Vi è però una differenza capitale. Come in certe fantasie universitarie, nelle quali uno vagheggia di poter “rigiocare” il liceo con le competenze erotiche acquisite dopo i vent’anni, di certo, se mi ritrovassi oggi a essere un ventiseienne con qualche idea e un sacco di letture alle spalle, non commetterei gli stessi errori. Ma non mi sento neanche di mettere chicchessia in guardia contro tali errori, che, insomma, pure loro sono formativi – lo dice del resto il più trito dei proverbi. C’è una cosa sola che vorrei dire a un esordiente: è, credo, la più importante (insieme ai cinque punti del buon M.B.B., e in particolare il numero 1, che era: leggi) e l’ho capita solo dopo un paio d’anni di lavoro: scrivi. Mi dirai: e ‘sti cazzi? E io risponderò di nuovo: scrivi. Tutti i giorni. Sempre. Non pensare alla pubblicazione; non aspettare l’ispirazione; pensa a scrivere. Coltiva più progetti in contemporanea: se ne hai sempre un paio aperti, sarà più facile scrivere tutti i giorni. Scrivi. Apri un blog: non per la visibilità ma perché ti forzerà a produrre qualcosa ogni giorno. Accetta qualunque collaborazione, se prevede di scrivere: meglio se pagata, ma prima che arrivino quelle pagate accetta anche quelle gratuite. E proprio perché la letteratura paga poco, e all’inizio non paga proprio, dovrai sacrificarle tutto il tempo libero dal lavoro. Ti rimarrà solo lei. Ma scrivi. Se non scrivi tutti i giorni, non sei uno scrittore. Se non scrivi tutti i giorni fino a logorarti, non sei uno scrittore. Se non scrivi tutti i giorni fino a mutare personalità (e in peggio, si capisce: notti insonni, idiosincrasie, disfunzioni relazionali, fissazioni, introversione oppure sindrome istrionica oppure entrambe, feticismo, superstizione, schematismo ossessivo oppure disposofobia, eccesso di sangue o collera o flemma o malinconia), non sei uno scrittore. E il brutto è che, anche se lo fai, non è detto che tu sia uno scrittore. E peggio ancora è il fatto che – se prendi sul serio, come immagino, la letteratura – anche quando avrai messo il tuo nome accanto a quei bei marchi storici, i tuoi compagni di catalogo, quelli antichi e grandi, ti diranno: non ci siamo, non ci siamo per niente. Il bello però – c’è anche un lato bello, sì – è che l’unica risposta da dare, se ancora “non ci sei”, è una sola, e semplice, e sempre la stessa: più ore, più ore di scrittura.
Vanni Santoni (1978) ha pubblicato Personaggi precari (RGB 2007), Gli interessi in comune (Feltrinelli 2008), L’ascensione di Roberto Baggio (Mattioli 2011, con Matteo Salimbeni), Se fossi fuoco arderei Firenze (Laterza 2011), Tutti i ragni (:duepunti 2012). È fondatore, con Gregorio Magini, del progetto SIC – Scrittura Industriale Collettiva, il cui romanzo storico In territorio nemico sarà pubblicato questa primavera da minimum fax.
Scrive sulle pagine toscane del Corriere della Sera, su Orwell e sui principali blog letterari italiani. Dirige la narrativa di Tunué. Il suo prossimo romanzo uscirà per Mondadori a fine 2013.
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